La musica napoletana rappresenta, grazie alla storia e alla sua evoluzione negli anni, la tradizione, la cultura e l’identità della città.
È una storia molto antica, che ha inizio nel 1200 con i canti popolari delle lavandaie che scandivano con la loro musica le ore di lavoro e ammaliavano gli uomini con il bel canto, contemporaneamente si creavano le basi per lo sviluppo della poesia e della musica napoletana con la nascita della prima Università fondata da Federico II di Svevia. Dal Seicento si diffuse la tarantella, il famoso ballo popolare di carattere etnico che si svolge in coppia. Nella tammurriata – così come viene chiamata in dialletto – i danzatori, vestiti sui toni del bianco, del rosso e del nero, ballano a ritmo allegro e cadenzato, servendosi di nacchere e tamburi. In alcuni spettacoli li si vede addirittura indossare l’iconica maschera di Pulcinella, sottolineando il legame che il ballo intesse con la tradizione napoletana. È un ballo così rappresentativo della città che la parola è entrata a far parte del gergo colloquiale e usata come espressione per indicare una situazione complessa. “Mammami che tarantella!”, commentano spesso i napoletani, chiacchierando amichevolmente o nel pieno di una discussione accesa. Questa espressione è parte integrante del gergo quotidiano ed è utilizzata in qualsiasi tipo di contesto. Si chiama “Tarantelle” anche un disco del famoso cantante napoletano Clementino. L’importanza storica e culturale di questa espressione è dunque legata all’ identità napoletana. La gioventù la riconosce come codice e la utilizza per comunicare attivamente. Da Renato Carosone, Ernesto Murolo e Totò, la dolce melodia unita alla dolcezza del dialetto napoletano ha percorso la storia e attraversato confini.
Oggi la canzone napoletana continua a vivere un periodo di grande successo nazionale grazie al mix di diversi generi stili e sonorità tipici della lingua. Molti artisti sono riusciti a ritagliarsi uno spazio importante nel panorama musicale attuale proponendo anche nuove tendenze musicali. Dalla techno al pop passando al rap partito a Napoli con i ‘Co sang, passando per Clementino e Rocco Hunt, proprio Luchè (fondatore del gruppo musicale dei ‘Co sang insieme a Ntò) ha accompagnato su un palco molto importante l’attuale fenomeno del panorama musicale partenopeo, Emanuele Palumbo, in arte Geolier, uno dei protagonisti indiscussi della 74° edizione del Festival di Sanremo. Nato e cresciuto nella periferia di Napoli precisamente a Secondigliano, capisce fin da piccolo che avrebbe dovuto dare una svolta alla sua vita e lo fa puntando tutto sulla musica. Nei suoi brani parla delle difficoltà che tanti ragazzi incontrano crescendo in una periferia abbandonata, ma anche la voglia di riscatto che riempie le strade del suo quartiere. Il dialetto è il suo strumento e ha deciso di non mollarlo neanche sul palco più importante d’Italia, con il suo brano “Ij p’ me, tu p’ te” rivendicando le sue radici e parlando alle nuove generazioni nel modo più autentico possibile: in napoletano, suscitando non poche critiche e riflessioni di chi non considera probabilmente la storia musicale e artistica del dialetto partenopeo. Il fenomeno Geolier non è solo locale, i dati parlano chiaro e il ragazzo ha un grande seguito in tutta Italia dimostrando che il suo racconto può essere condiviso dai giovani del Sud e del Nord, cancellando di fatto ogni tipo di barriera che qualcuno ancora crede possa esserci, trasmettendo un forte messaggio di unione, solidarietà e riscatto attraverso l’arte.